In questa estate strana caratterizzata dai distanziamenti ma, per paradosso, dalle distanze ravvicinate quando si parla di viaggi, sono tornata a Sirmione, sfiorata in vari passaggi della mia vita. Da bambina coccolata sul molo a dare da mangiare a volatili autoctoni, da ragazza per una cena romantica tornando dalle attrazioni di Gardaland e, oggi, nell’estate del COVID per riappropriarmi di quei luoghi dimenticati ma sempre presenti nei ricordi. Ma se Sirmione, nel suo centro è graziata dai turisti stranieri ma pullula di negozi commerciali, nella sua propaggine si erge una splendida villa romana, risparmiata dal tempo e dalle orde dei turisti. Sono le grotte di Catullo, che devono il loro nome al poeta che scelse questa propaggine di terra per scrivere le odi a Lesbia. E se, sembra quasi di sentire “i mille baci, e gli altri mille ancora”, le grotte e i vani coperti dalla vegetazione ancora oggi custodiscono i suoi ricordi. Il riferimento a Catullo deriva dai versi del poeta latino di origine veronese, morto nel 54 a.C., che canta Sirmione, gioiello tra tutte le isole e penisole dei mari e dei laghi.
I primi scavi del sito risalgono alla metà dell’Ottocento ma, solo dopo il 1949, vennero eseguite ampie ricerche che portarono alla pubblicazione (1956) di una prima guida del complesso, correttamente interpretato come sontuosa villa romana. Le indagini più recenti hanno permesso di precisare la cronologia della villa, costruita in età augustea e abbandonata nel corso del III secolo d.C., confermando che la costruzione attualmente in luce fu realizzata con un progetto unitario che ne definì l’orientamento e la distribuzione spaziale, secondo precisi criteri di assialità e simmetria.
Un’analisi nel settore meridionale della villa ha infine accertato l’esistenza di alcuni vani pertinenti ad un edificio antecedente la grande villa, intenzionalmente abbandonato e demolito a livello delle fondazioni al momento della nuova costruzione.
Sta per scatenarsi una bomba d’acqua e facciamo appena in tempo a uscire dalla villa con ancora quel profumo salmastro, un misto dello zolfo ribollente dalle acque sulfuree e degli oleandri in fiore. Stordite dalla bellezza ci rinfreschiamo sotto un’acqua battente.