Di: Manuela Gobbo
Vegetazione prepotente e templi di pietra. Nel cuore della Cambogia dove trionfano arte e storia khmer.
Non sono una novellina; ho alle spalle molti anni di esperienza, di vita e di viaggi. Con l’età, il mio peregrinare è cambiato: dallo zaino appoggiato per terra nella tenda al trolley ultraleggero adagiato sul mobile porta valigie di confortevoli strutture alberghiere con annesso centro benessere. Ho scalato, davvero, montagne; ho percorso sentieri desertici; oggi vado in palestra come andassi dal dottore e le mie esperienze di viaggio, senza rinunciare del tutto all’avventura, sono più etniche, linguistiche e magari gastronomiche. Con il passare degli anni ho imparato, più semplicemente, ad avvalermi di modalità diverse, di un più ampio panorama di viaggio. Mi ripromettevo da molto tempo di andare in Cambogia. Avevo vissuto mediaticamente l’orrore di Pol Pot e poi l’invasione da parte dei Vietnamiti; nel 1999 il nuovo corso politico e, finalmente, la rinascita di questo “popolo del sorriso”. Nel decennio che ne é seguito ho dato però priorità a mete che soddisfacessero anche le esigenze della mia nuova compagna di viaggio, mia figlia Giulia: ho dovuto attendere il 2010 per programmare il nostro viaggio in Cambogia. Del Paese mi ero già fatta un’idea, come avviene a tanti, attraverso le letture dei “Dispacci dalla Cambogia” di Terzani, le immagini di google earth e, naturalmente, con le informazioni dal web. Ho voluto dedicare alla destinazione tutto il tempo a mia disposizione per un viaggio e adesso devo dire di aver avuto ragione. Da Milano con la Singapore Airlines abbiamo viaggiato in perfetto orario, comodissimi in classe economica, coccolati da un ottimo servizio e da un programma di video strabiliante, con ampia scelta sia in inglese che in italiano. Ho gustato prime visioni come “Generazione 1000 euro” e rivedere “Avatar”, non ho chiuso occhio: ma sono arrivata all’aeroporto di Singapore rilassata e pronta a proseguire per la meta finale! L’aeroporto di Singapore è una favola. Niente a che vedere, per me, con quello di Dubai dove, a parte negozi e ancora negozi, non ci sono sedie se non quelle dei bar dove devi consumare o quelle nelle gabbie vetrate dei gate. Che se ne dica, niente è economico né a Singapore né a Dubai; ho bandito lo shopping luccicante ed invece ho fatto “musina” per i mercati di Siem Reap che avrei visitato qualche giorno dopo; li sì, poi ho scoperto, avrei portato a casa anche le bancarelle. Nell’ aeroporto di Singapore grandi spazi di ampio respiro, poltrone, servizi di tutti i generi e persino “la Valle delle Farfalle”: vera, reale, addirittura emozionante; dalle grandi vetrate abbiamo poi visto un’ordinato panorama abbellito da lussureggiante vegetazione tropicale. Prometteva bene; qui ci saremmo fermati un paio di notti al ritorno. Ci siamo spogliati di giacche e maglioni pesanti ed abbiamo proseguito con un volo Silk Air per Siem Reap. Il clima, da novembre a marzo è davvero fantastico, senza eccezioni; anche nei mesi estivi comunque non è poi così male: la pioggia è intermittente e così l’umidità. Il cambiamento climatico che tutti dicono di avvertire dovunque si nota anche qui, se vogliamo, perché le previsioni sono spesso disattese se non ribaltate. Siem Reap è una cittadina simpatica, molti alberghi sono nuovi e altri sono in costruzione. Le strade sono buone e ben asfaltate quasi ovunque. Ciò nonostante, si viaggia di media a non più di 30 km all’ora. E’ fondamentale quindi calcolare i tempi degli spostamenti con grande margine e non basandosi soltanto sulle distanze in chilometri. Siem Reap ha un piccolo centro con un grande mercato locale e un mercato notturno, pulito e ben fornito con tanti bar che diventano ritrovo sia per i residenti che per i turisti. Ci si sposta in tuc tuc, il traffico è accettabile e piuttosto ordinato. Si può girare la notte senza preoccupazioni anche per noi che abbiamo al seguito ragazzine e bambini. In quasi tutti i ristoranti servono anche la pizza, ma si mangia bene ovunque. A qualche chilometro alcuni caselli ci dicono che siamo all’ingresso dell’area vastissima di Angkor. Si deve acquistare un pass giornaliero, per tre giorni o per una settimana. Una specie di skypass con tanto di fotografia fatta sul posto. Sono ben organizzati, ma anche noi abbiamo fatto la nostra parte programmando con molto anticipo con il tour operator italiano, quasi personalizzando l’itinerario, così da ottimizzare i tempi e poter scegliere le sistemazioni più consone alle nostre aspettative ed alle nostre previsioni di spesa. Anche se non sono molte le guide che parlino l’italiano, noi però abbiamo Saveth, parla molto bene la nostra lingua, ha una perfetta divisa color cachi con tanto di berretto da baseball; più che una guida, un ottimo compagno di viaggio. Saveth risponde senza riserve alle nostre domande, parliamo di tutto e da lui ascoltiamo anche racconti che sono pezzi della loro storia recente; ci sembra di avvicinarci ai cambogiani con più calore e con l’attenzione che, secondo me, davvero meritano. A Siem Reap sono molte anche le iniziative di solidarietà, anche per iniziativa di istituti italiani: dalle scuole ai negozi, dalle botteghe agli alberghi dove si fa insieme esercizio e scuola di ospitalità. Per un turismo che sia conoscenza e responsabilità. Il sito di Angkor è vastissimo e le giornate trascorrono intense e regalano emozioni fortissime. Qui la cooperazione internazionale sta lavorando per ristrutturare, organizzare, preservare. Si è ancora esploratori tra i templi ingoiati dalla vegetazione e solo in parte restituiti alla vista, si scalano templi ma anche radici gigantesche e colline, immergendosi nella natura incontaminata. Ogni tempio è un percorso, una storia, un incontro che rimarrà impresso nella memoria. Saveth ci propone una chiave di lettura storico-artistica, la percezione dei nostri sensi è articolata, profonda e indimenticabile. un viaggio in Cambogia è una esperienza da far “mancare il fiato” e, secondo me, sono questi i momenti che misurano l’intensità della vita.