Verona è incredibilmente ricca di attrazioni per il turista: oltre a quelle più famose, come l’Arena, il balcone di Giulietta, Piazza delle Erbe e Castelvecchio, la città ha un tesoro nascosto: la biblioteca funzionante più antica al mondo, nata intorno all’anno 380 d.C. in concomitanza con la diffusione del cristianesimo a Verona, dove studiarono il figlio di Carlo Magno, Pipino, Dante Alighieri e Francesco Petrarca. La Biblioteca Capitolare di Verona possiede un tesoro di oltre 1200 manoscritti, 245 incunaboli, 2500 cinquecentine, 2800 seicentine e altri 70mila volumi ed è sopravvissuta al terremoto, alla peste, alle ruberie di Napoleone, all’alluvione del 1882 e alle bombe del 1945.
L’affascinante storia della Biblioteca
La Biblioteca Capitolare di Verona è una istituzione famosa per l’antichità e preziosità dei suoi manoscritti. Ha origine nel secolo V d.C. come emanazione dello Scriptorium, un luogo dove si scrivevano libri su pergamena, materiale prodotto con pelli di agnello o vitello depilate e fatte asciugare sotto tensione, che dal II secolo a.C. sostituì il papiro e prende nome dalla città di Pergamo in Asia Minore, sede di una grande biblioteca scomparsa che rivaleggiava con quella di Alessandria. Dal XIV secolo venne gradatamente soppiantata dalla carta di canapa o d’altre fibre tessili. Il più antico volume custodito nella Biblioteca è il cosiddetto “Codice di Ursicino”, una pergamena datata 1 agosto 517(quando Teodorico, re degli Ostrogoti, dominava Verona), ma vi sono conservate anche le “Istituzioni di Gaio”, un codice-palinsesto di diritto romano, di cui si sta ultimando adesso la traduzione in cinese, la prima copia del De Civitade Dei di Sant’Agostino del 417 e un atto di Federico Barbarossa, che nel 1184 incontrò proprio a Verona Papa Lucio III. Ospiti illustri della Biblioteca Capitolare furono Dante Alighieri nel 1320, all’epoca del suo soggiorno a Verona, e Francesco Petrarca nel 1345. Con l’invenzione della stampa, verso il 1450, entrano nella Capitolare i primi libri a stampa (gli incunabili, cioè i volumi stampati dal 1450 al 1500). Di fine 1400 è una copia della Divina Commedia illustrata a Botticelli. Durante una ristrutturazione il bibliotecario ripose i volumi più preziosi nel sottofondo di alcuni armadi, ma morì di peste nel 1630 e il nascondiglio fu scoperto solo nel 1712. La grande ricchezza del suo patrimonio librario suscitò la cupidigia di Napoleone che asportò un certo numero di volumi per rifornire la Biblioteca Nazionale di Parigi. Solo due terzi ritornarono, nel 1816, dopo la caduta dell’imperatore.
È in funzione all’interno della Biblioteca un laboratorio per il restauro degli antichi codici. Negli ultimi anni, con la guida di Don Bruno Fasani, l’attività della Biblioteca si è indirizzata a un’opera di collaborazione con gli altri istituti culturali della città e del mondo. Inoltre ha iniziato una politica di diffusione della conoscenza dell’inestimabile patrimonio racchiuso fra le sue mura.
Quando nacque la lingua italiana…
Tutti sanno che è nata dal latino parlato, ma non tutti sanno che la frase più antica della lingua italiana è contenuta nel cosiddetto “indovinello veronese”. Su un foglio di un libro di preghiere liturgiche usato in Spagna e scritto in caratteri visigotici uno scrivano, forse per provare la sua penna, scrisse: “Separeba boves, alba pratalia araba, albo versorio teneba et negro semen seminaba“, che in chiaro italiano vuole dire: Teneva davanti a sé i buoi (cioè le due dita della mano), arava i bianchi prati (cioè le pagine del libro che erano bianche prima di essere scritte), teneva un bianco aratro (che è la penna d’oca) e seminava la negra semente (cioè l’inchiostro). Ora ognuno indovina che si tratta dello scrivano all’inizio del suo lavoro.