Di Manuela Gobbo
Il cammino attraverso la foresta non è lungo se si ama la persona che si va a trovare. (Proverbio Africano)
Il continente africano rappresenta di per sé un piccolo mondo. Lasciando le coste mediterranee del nord, dove restano segni gloriosi delle antiche civiltà, il viaggio diventa “safari”, parola swahili (letteralmente, viaggio) che identifica una tipologia di spostamento, arricchitasi nel tempo di un significato molto ampio. Agli inizi del secolo scorso il “safari” era una spedizione di caccia grossa, ricchi europei alla ricerca di adrenalina, sfidavano i grandi felini nel loro incontaminato e smisurato territorio. Grandi romanzi hanno raccontato sensazioni, esperienze e sfide vissute anche alla ricerca della propria identità. La breve vita felice di Francis Macomber (Ernest Hemingway) oltre a regalare panorami e atmosfere, mi ha lasciato l’idea che questa terra riesca a cogliere l’essenza di ogni uomo, abbatta le barriere del conformismo sociale per riportarlo alle sue primitive origini d’avventuriero.
Mal d’Africa
Oggi l’Africa è molto cambiata ma ancora custodisce grandi spazi, scenari insostituibili dove ammirare tramonti incomparabili e udire amplificato l’assordante vita della natura selvaggia. In passato ho sofferto anch’io del “mal d’Africa” un sentimento del viaggiatore romantico. Con il passare del tempo, mano mano la mia strada si andava consolidando, la sensazione si è affievolita. Così quando il mio amico e conterraneo Pierluigi, si stabilì in Uganda, bianco emigrato alla ricerca di lavoro, ho pensato che prima o poi sarei andata a trovarlo. Senza fretta visto che avrei dovuto rinunciare alle comodità a cui sono abituata. I suoi racconti via skype della vita quotidiana, della bellezza e singolarità dell’Uganda, hanno però presto attirato la mia attenzione. Accompagnare i safari è diventato per lui una routine e le immagini forti di queste colline verdissime, delle famiglie dei gorilla da seguire nella boscaglia si rivelavano un’attrazione sempre più pressante. Pierluigi continuava a rassicurarmi sull’acquisita stabilità politica del Paese ed un certo benessere diffuso giocando la carta della gente: schietta, istintiva, non ipocrita ed ospitale. Gli ugandesi celebrano ogni giorno la vita, ti leggono nel profondo e se vieni in pace hai trovato un posto di serenità. In un breve viaggio è difficile immergersi nel quotidiano ed è per questo che la guida è anche il mediatore culturale. Gli abitanti della Perla d’Africa sono duri e fatalisti, abituati a confrontarsi fino alla morte con le avversità. Sono appena tornata e a parte aver bisogno di qualche giorno di riposo, ne è valsa la pena. E’ un viaggio per alcuni aspetti impegnativo: lunghi percorsi su strade spesso fangose e piene di buche, una pioggia battente che ti affatica anche solo a camminare ma per chi ama l’Africa e i safari è incomparabile. La pioggia è l’elemento imprescindibile per la foresta e i suoi abitanti è come amare il temporale perchè porterà l’arcobaleno! Qui gli animali si cercano con educazione, nel totale silenzio, sorretti da portatori instancabili e adorabili per quanta grazia e disponibilità ti offrono.
Magilla, gorilla
L’emozione poi di avvicinarsi alla “tua” famiglia di Gorilla è indescrivibile. Si entra nei parchi a numero chiuso, si viene divisi in piccoli gruppi ad ognuno dei quali viene assegnato un gruppo di gorilla e da qui con i rangers-guida e i portatori si seguono le tracce. Non è indispensabile una particolare preparazione fisica ma è bene conoscere i propri limiti e rispettare sé stessi anche nello sforzo dignitoso di arrivare alla meta. Mi sono fermata spesso e ho calibrato il respiro e l’attività in modo da godermi il viaggio in comfort e sicurezza. I lodge sono buoni e in alta stagione, come ad agosto, sono strapieni. Ci sono i soliti self-made che dormono in macchina per non aver prenotato per tempo, qualcuno rimane fuori dai parchi per non aver pre-acquistato l’ingresso. Pierluigi e l’autista, soprannominato Nicky Lauda perchè è veramente un ottimo guidatore, sono simpaticissimi e la sera davanti al fuoco si chiacchiera sorseggiando whisky. Li abbiamo soprannominati “Ringo”, il bianco e il nero, indissolubili come pilota e navigatore, due facce dell’Africa. Incontriamo qualche jeep lussuosa ma il parco macchine in Uganda è vecchiotto. Come per altri paesi del sud del mondo, la manutenzione è il problema più evidente, non ci sono carrozzieri o pezzi di ricambio. Battisti cantava: “Quel gran genio del mio amico/ lui saprebbe cosa fare/lui saprebbe come aggiustare/ con un cacciavite in mano fa miracoli./ Affidarsi a mani esperte conta.
L’altra incognita sono le condizioni sanitarie ma alcune precauzioni sono state utilissime come ad esempio usare uno spray antizanzare da vaporizzare sugli abiti una settimana prima e resistente a ben 8 lavaggi. Mi sono sentita bene in questo ruolo di esploratrice al contatto con gli elementi di Gaia, mi sono sentita di appartenerle.