Di: Daniela Campagna
Cambiare prospettiva è il solo modo per vedere. La gonna bianca della ragazza accarezza i duecentocinquanta gradini che, attorcigliati su se stessi, si inerpicano verso il cielo. La scala è buia e angusta, di vecchio marmo, affollata di turisti… .“Ma è chi vive a Milano che non dovrebbe privarsi di questa vista dall’alto” pensa la ragazza, misurando uno a uno i passi che la separano dalla cima.
Guardare Milano dalle terrazze del Duomo è guardare la propria vita dall’alto: riconoscere i crocevia e gli snodi dei propri passi, le fermate degli anni, il corso inatteso che prendono talvolta i giorni. Da dove le guglie e i ghirigori gotici si possono toccare, tutto assume un nuovo significato, anche l’essere tornati, anche accarezzare talvolta il pensiero di ripartire. La ragazza gioca a riconoscere palazzi e quartieri, montagne al più lontano sguardo, e ancora nuovi grattacieli e antichità. Non c’è soluzione di continuità tra Milano e l’orizzonte. Com’era cinquantanni fa? E cento? E prima ancora? E come sarà quando di noi e dei nostri giorni non resterà che la schiuma?
È uno di quei rari pomeriggi in cui il cielo su Milano è terso e le nuvole corrono veloci sospinte dal libeccio. Lo sguardo abbraccia le storie che si dipanano più in basso, le vite delle donne e degli uomini sfiorate ogni giorno o non mai incontrate. Come in un salotto affacciato sul tempo, le ore non passano o sembrano non passare. “Potrei benissimo rimanere ospite del cielo” sorride la ragazza con le parole di un illustre ospite di tanti anni prima. Ma è già ora di ridiscendere uno a uno i gradini di pietra, il passo è veloce, però, sospinto dalla voglia di rituffarsi nella città, di farne parte, di confondersi, di appartenere.