Di Manuela Gobbo
E’ il mio personale traguardo: compio 50 anni. A differenza di mia figlia che viaggiava già all’età di sei mesi, ai miei tempi (e già si sente la distanza) sono stata una privilegiata quando a tredici anni presi l’aereo per la prima volta. Va detto che partivo in vantaggio: mio fratello Gianfranco nel ’74 aveva già la sua agenzia di viaggi. Sulle piste degli aeroporti c’erano gli aerei ad elica, l’Alitalia era una grande compagnia, l’aeroporto Marco Polo di Venezia era un capannone e parcheggiati di lato alla pista c’erano, come evento speciale, un paio di aeromobili. I “charter” erano appena all’inizio della loro carriera e non era stato neppure coniato il termine “low cost”. L’Alitalia dominava anche questo settore con una divisione vera e propria dedicata ai “noleggi”. Non c’erano offerte “last minute” o internet (eh, già, non c’era nemmeno il web, ma parenti ed amici riempivano i “vuoti” ad un prezzo di favore). E’ così che ho cominciato a viaggiare! Amsterdam è stato il mio primo long week end tra i mulini a vento ed il parco dei tulipani Keukenhof, ancor oggi una delle attrattive della capitale, i canali con ormeggiate le houseboat e la casa “rifugio” di Anna Frank, il Museo Van Gogh e la Piazza Dam con il Palazzo Reale (Koninklijk Paleis). I ricordi sono quelli delle foto, un po’ sbiaditi i primi e ingiallite le seconde. Sono seguiti altri viaggetti nelle allora poco conosciute capitali europee. Il turismo, che fosse quello delle città minori, quello tematico oppure ai tropici, non era soggetto a grandi distinzioni, così come non si percepivano sostanziali divergenze tra turisti e viaggiatori. In autunno fu la volta di Parigi, in cuccetta, compartimento di seconda classe, carrozza con riscaldamento rotto nel tragitto di andata… sì, questo succede spesso anche oggi; che le ferrovie abbiano fermato il tempo? No, non c’è da rallegrarsi! Noi turisti eravamo curiosi, pieni di genuina meraviglia davanti alla Tour Eiffel. Eravamo spontanei, ammirati da tanta bellezza e novità. La televisione ed i satelliti, che non c’erano, non trasmettevano in continuazione così tanti documentari e reportage da trasformare il mondo in un sobborgo di casa nostra. Allora non c’era il turismo gastronomico: si faceva una gran colazione perché a pranzo e cena c’erano baguette e formaggio… francese, “naturellement”! I divani del Louvre erano comodi nella grande e maestosa sala scrigno della “Gioconda”; si camminava fino allo sfinimento, altro che taxi! Qualche volta si rientrava in albergo con la métro a scopo didattico, una sorta di “orienteering” ai primordi, attività che invece di recente è divenuta disciplina del C.O.N.I.. Bisognava leggere la cartografia, conoscere il territorio con la posizione dei siti di interesse artistico-culturale e distinguere i punti cardinali. Quella era la nostra Disneyland, il nostro parco giochi! Alla fine di quell’anno cantavamo “Messico e nuvole /la faccia triste dell’America / Che voglia di piangere ho” (cantata da Jannacci sui testi di Pallavicini e Conte) e noi eravamo a Città del Messico in Piazza El Zócalo, assolata e vuota per la siesta. La stessa piazza dove lo scorso 9 maggio si è ritrovata una moltitudine di 200 mila persone per “la marcia per la pace e la giustizia”. Si viaggia per vedere il mondo, scoprirlo, assaporarlo e migliorare noi stessi nella conoscenza, nell’attenzione e nel rispetto. Viaggiare è una risorsa dell’intelligenza che deve mantenere la centralità dell’uomo e una parte di mistero che dia continuo sapore all’avventura … della vita.