Di: Manuela Gobbo
Sognata, cercata, fugata: è l’India, un melting pot culturale. Dai figli dei fiori in poi, cercata e voluta.
L’India è stata la meta onirica dei figli dei fiori, la destinazione dei pellegrinaggi degli “arancioni” ed il viaggio mediatico di Suzy Blady e Patrizio Roversi nella nota saga “Turisti per caso”. Allora erano giovani viaggiatori in sacco a pelo, con le zeppe ai piedi, in abiti coloratissimi e in testa ricci afro-americani che raggiungevano l’India con pochi dollari in tasca, i “bigliettoni verdi”. Il mito di Ghandi era fervido nel 1966, quando sua figlia Indira, quarantanovenne, veniva eletta primo ministro del giovane Stato federale, politicamente più vicino all’URSS. L’India degli anni 2000 è uno dei Paesi a più rapida crescita nel mondo, dove pur continuando ad aleggiare una spiritualità non comune, si respira voglia di modernità. Veramente è lo smog a sovrastare le grandi città inquinate da un parco automezzi tra i più vecchi del globo e un rumore assordante nelle affollatissime strade di piccoli villaggi, divenuti grandi città, in meno di mezzo secolo. Dietro ogni camion o pullman campeggia la scritta: horn please!! E’ si, suonare prima di infilarsi in ogni spazio e mettere fuori la mano per girare a destra (la guida qui è a sinistra) mentre l’aiutante, quasi sempre un giovane ragazzo di bottega, è la freccia umana di sinistra. Il primo approccio con l’India è, nella maggioranza dei casi, Delhi, dove è stato aperto il nuovo terminal in occasione dei tanto chiacchierati “Giochi del Commonwealth” nell’ottobre scorso. E’ qui dove arrivano dall’Europa e dall’Italia le maggiori compagnie aeree. Dallo scorso anno un collegamento giornaliero diretto da Milano a Delhi della Jet Airway è il sintomo di un crescente interesse italiano sulla destinazione. Le tariffe sono estremamente interessanti ma fate attenzione alle tasse aeroportuali. L’Emirates, via Dubai e con voli in coincidenza anche da Venezia e da Roma serve ottimamente anche l’India del sud con voli da Kochi e da Trivandrum, nel Kerala. Comparando la spesa tra le due compagnie aeree includendo nel totale anche le tasse aeroportuali, l’Emirates a volte offre migliori condizioni. Sarà interessante approfondire l’argomento su tutti i costi ancillari di cui tanto si parla e dei quali spesso non si tiene conto nel confronto delle proposte.
Nebbia sul Gange
All’aeroporto di Delhi superati i controlli doganali, un po’ lunghi in verità, usciamo nella nebbia. Si dice che quest’anno sia stato un anno eccezionalmente freddo. La stagione invernale è la migliore per viaggiare nell’India del nord ma secondo me, più della scelta del periodo è consigliato un atteggiamento positivo visto che in viaggio, come nella vita, è una delle condizioni per godere di quello che viene. Fuori dal terminal c’è un susseguirsi di cantieri come quelli che incontreremo spesso lungo l’itinerario. Si lavora alacremente alla costruzione di una nuova rete stradale che permetta di attraversare il Paese più rapidamente ed ecco svincoli, sovrappassi, viadotti che taglieranno fuori una miriade di agglomerati dove il traffico cittadino – mucche, carretti, moto e biciclette – si mescola a quello di lungo corso, incidendo significativamente sulla media della velocità, piuttosto bassa. A quel punto però sarà doverosa qualche deviazione per immergersi nel paesaggio agreste cosparso di campi di colza, distese gialle a perdita d’occhio interrotte da case contadine dove donne in coloratissimi sari si assiepano attorno ai pozzi accudendo nugoli di bambini vocianti e mucche da compagnia. Delhi è una megalopoli dove è ancora visibile l’imprinting britannico tra grandi viali incorniciati di verde curatissimo ed edifici in stile coloniale; allo stesso tempo mostra templi dalla forte connotazione indiana e una molteplicità umana inattesa, tra mendicanti e ragazze alle moda, venditori di strada e avventori di modernissimi centri commerciali. Una sosta doverosa al Raj Ghat dove riposa il Mahatma Ghandi, ai templi Sikh e alla torre Qutab Minar, nonché alla città vecchia ancora dedalo di viuzze dove aleggia un odore speziato. Nel traffico è impossibile non fotografare la mitica millecento, per la gioia del mio compagno non capisco nulla di auto e pazientemente mi spiega essere un modello inglese della Motor Morris Company, in produzione fino al 1948, non una Fiat. Un gioiello bianco sul quale salgo come fossi un’ambasciatrice: non è un sogno, è un taxi che mi riporta in albergo. Io ho organizzato dall’Italia auto e autista per proseguire attraverso il Rajasthan e il mio amico Vijai, guida esperta e preparatissima, ci accompagna offrendosi senza riserve alle nostre curiosità anche alla scoperta dell’Induismo.
L’induismo tra miti e dei
La religione è un aspetto sempre fondamentale per conoscere un Paese, la sua gente. Non è spiritualità ma più prosaicamente un carattere nazionale, un peculiarità popolare, uno stile di vita. L’Induismo è la terza religione più diffusa al mondo dopo il Cristianesimo e l’Islam, scandisce i ritmi quotidiani, è un modo di vivere, di pensare e di organizzare la società stessa. Partiamo verso il Rajasthan, terra di confine tra deserto e montagne. Questa è la terra dei Maharaja e delle Maharani, grandi re e regine, sfarzosi palazzi e leggende, da Jaipur ad Agra fino a Varanasi, per queste località si continua a cercare aggettivi per descrivere ciò che ognuno interpreterà in modo personale. Per avventurarsi infine nel Ranthambore Park tra tigri ed elefanti, esempio di come si stia cercando di preservare l’ambiente come ricchezza del futuro. Tra le tantissime soluzioni per alloggiare, la catena alberghiera indiana Oberoi offre i suoi lussuosi siti ed un’ospitalità impeccabili. L’India è ancora un lungo racconto che confido di proseguire perché, come ha detto Benjamin Disraeli “come tutti i grandi viaggiatori, ho visto più di quanto io ricordi, e ricordo più di quanto io abbia mai visto”