Il DRD4-7R ha molti nomi: ribattezzato gene dell’avventura, gene del viaggio, gene dell’irrequietezza, gene del nomadismo più sfrenato, mi sentirei di aggiungere. Quanto i ricercatori hanno scoperto è la connessione che unisce le persone portatrici di questo gene e il desiderio di partire. Esse sono più curiose, più sensibili agli stimoli esterni e attirati dall’ignoto e dall’avventura senza limite.
Lo studio vanta un’ottima casistica: effettuato su 2320 individui appartenenti a 39 paesi diversi, rilevando le loro frequenze alleliche e recuperando i dati relativi alle migrazioni delle stesse è risultata una proporzionalità tra la percentuale di alleli per gene DRD4 e la lunghezza delle distanze percorse durante le migrazioni storiche.
In altre parole, i popoli che hanno affrontato nel corso della storia macro-migrazioni, hanno tendenzialmente un maggior numero di alleli (coppie uguali di geni) di DRD4 rispetto a quelli che hanno effettuato micro-migrazioni.
Accettando tale tesi dobbiamo abbracciare l’idea che tutto il sentimentalismo e lo spirito di avventura che ha spinto il genere umano a navigare fino ai confini del mondo, ad arrivare a fare scoperte rivoluzionarie o a cercare vita su altri pianeti è imputabile al DNA, a qualcosa di dato e immutabile che ci è stato trasmesso. L’idea che l’entusiasmo provato prima di un viaggio verso una meta sconosciuta o che l’eccitazione di uno scienziato quando sta per fare una scoperta sorprendente non sia riconducibile ad altro che il risultato di uno stimolo partito dai recettori di questo gene, smonta gli ideali passionali e ispiratori.
Non so a voi ma a me l’articolo ha scatenato una serie di domande.
Da dove vengo? Ma soprattutto, Dove andrò? E quale sarà il mio prossimo viaggio?