Tale padre quale figlio. Se è vero che buon sangue non mente, l’accoglienza Abbottega è calda è conviviale. Ad aspettarci in una tiepida domenica di inizio autunno, è Matteo. Ventenne d’anagrafe che vanta, però, già anni di esperienza. Due, dal lancio di Abbottega (terzo locale affacciato su Porta Romana, di proprietà di David Ranucci, suo padre) a cui va aggiunta quella vissuta lavorando nel locale di famiglia del Village.
“Ho cominciato a New York, dove i camerieri con le tips (n.d.r. mance) riescono a vivere molto bene.”
Mi racconta così della sua esperienza. Dei suoi inizi, di quanto gli piaccia il suo lavoro e di quanto ce l’abbia dentro. Ed è vero, perché insieme ai giovanissimi colleghi è attento e paziente a seguire le esigenze dei clienti. Li osservo muoversi tra i tavoli, di questo particolarissimo locale, in cui una sala è occupata da un bancone da salumeria. Dietro forme di cacio, salumi di capocollo, prosciutti di spalletta e cacciatorini al tartufo nero.
Siamo qui per testare il brunch della Domenica. Un pacchetto di tre piatti con caffè americano in abbondanza e succo di arancia, per rilassarsi con una colazione che sfuma nel pranzo. Il tutto a soli 18 euro.
Matteo sorride e intanto serve marmellata di mirtilli e di albicocche fatte in casa sulle tovagliette che recano impresse la foto di nonna Adalgisa. La longa manus che ha trasmesso alle generazioni venute dopo di lei, il culto per la buona tavola e per la convivialità.
Omelette con bacon e hamburger, chiudendo con una deliziosa cheese cake al rum. Era da qualche mese che non facevamo un brunch e questo merita di essere ricordato. Ce ne andiamo sazi e soddisfatti non prima di avere fatto una piccola spesa. Un po’ di affettati e la burrata fresca. In ricordo di una bella giornata.
I bastioni di Porta Romana splendono nel nitore di un cielo azzurro, mentre Matteo e i suoi amici, ci salutano, sbracciandosi dall’ingresso della loro bottega.
