Di: Manuela Gobbo
“L’uomo che sapeva troppo” è considerato uno dei migliori film di Hitchcock. Il medico Ben McKenna (interpretato dall’elegante James Stewart) e la moglie Jo (Doris Day l’intramontabile cantante di “Que sera’, sera’”) sono in viaggio in Marocco insieme al figlioletto Hank. Bastano poche scene del film …
Erano gli anni ottanta la prima volta che ho viaggiato in Marocco, un tour di gruppo delle Città Imperiali. All’epoca, i tour organizzati erano comitive numerose e simpatiche spinte dall’aumento delle rotte verso paesi all’ora considerati “esotici” come la Turchia, l’Egitto e il Marocco. Come spesso mi capita i ricordi affiorano nitidi richiamati da una foto o da un oggetto. Il pouff in pelle nel salotto dei miei genitori è stato per anni una sorta di “switch on” di quel datato viaggio. Richiamava alla memoria l’odore forte e acre delle concerie di Fez dove grandi calderoni di colori diversi bollivano in continuazione. Fez, città santa del Marocco fondata nell’808 da un discendente del profeta, ha mantenuto il suo ruolo di città dell’artigianato, dell’arte e di capitale religiosa. Tra i vicoli stretti della sua medina acquistammo, oltre al pouff, un numero imprecisato di zainetti dipinti di fiori hippy che furono distribuiti al ritorno a tutte le cugine e le nipoti della discendenza. Più recentemente la collana berbera di corniola che ogni tanto riesumo rovistando nei miei cassetti, mi porta con la mente nella Kasba des Oudaia a Rabat. Custodite all’interno di mura fortificate, basse case bianche e azzurre delimitano con continuità, saliscendi sui quali si aprono imposte di legno e vetrine di ogni mercanzia. Fu un acquisto impegnativo perché ognuno dei quaranta partecipanti volle una collana e la contrattazione sul prezzo sfinì tutti, anche la guida che esortava a ritornare al pullman per rispettare la rigida tabella di marcia. A Meknes fu la volta della ceramica, veramente qualcuno acquistò una valigia in pelle (ancora i cinesi non avevano invaso il mercato con le loro valigie cartonate) per riempirla di ninnoli che avrebbero fatto bella mostra nelle vetrine del salotto di casa. Marrakech, la città rossa, rispettava appieno il fascino esotico del viaggio. Ci perdemmo nella medina, frastornati da suoni, odori e colori. Sono tornata in questi luoghi con un po’ di nostalgia e sono stata felice di ritrovarli interessanti e sorprendenti come allora. La rete viaria è migliorata moltissimo e i tempi di percorrenza si sono notevolmente ridotti. Ci sono nuovi alberghi e altri sono stati riportati agli antichi splendori come è avvenuto per il mitico La Mamounia. L’albergo amato da Churchill è spettacolare nella sua sistemazione tra ulivi e aranci, ed offre adeguata ospitalità ai viaggiatori più sofisticati. Solo lo shopping ha risentito della globalizzazione e c’è un sacco di mercanzia già vista e prezzi esorbitanti. Mi sono permessa il lusso di comprarmi un servizio di tajin, piatto di terracotta tipico dal coperchio a forma conica, a volte preziosamente decorato. Posto direttamente sulla brace cuoce a vapore carne, verdure e pesce, serviti poi con l’immancabile couscous. Al ritorno in Italia ho potuto così proporre una cena tra amici, importando con la tipica terracotta anche il forte senso di convivialità e di ospitalità che i marocchini testimoniano attorno alla tavola imbandita.
La memoria è la nostra capacità di conservare le informazioni. E’ utile codificarle per riuscire a recuperarle … Spesso lo facciamo istintivamente.
La fortuna di poter tornare in un Paese ti permette di rilevare aspetti passati inosservati. Un po’ come succede quando si riguarda un film: conoscere la trama e l’epilogo, ci permette di cogliere le sfumature delle inquadrature, i dettagli che spesso sono la ricchezza del risultato. Questa volta mi sono spinta anche verso sud, nel deserto, per percorrere le vie dei carovanieri come la famosa “pista del sale” che termina al villaggio di Telouet nel cuore dell’Alto Atlante e quella “delle Rose” fino al bel villaggio di Bou Tharar, annidato fra le montagne e il fiume. Ho attraversato le Gole del Todra, sostato nelle oasi di Skoura per visitare l’imponente kasba di Amerhidil. Il Marocco ha un ecosistema diversificato dalla morfologia del territorio e dall’influenza del clima che lo caratterizzano per un bioma davvero complesso. Bisogna attraversarlo per scoprirne la varietà e la bellezza. E’ anche un Paese che sta perseguendo un processo di ammodernamento in vari settori strategici con obiettivi politici e socio-economici allo scopo di consolidare un ambiente propizio alla crescita. Discussione molto attuale e recentemente riproposta durante l’intervista al famoso scrittore marocchino Tahar Benjelloun durante la trasmissione di Serena Dandini “Parla con me”. Il marocchino non è un altro modo di servire il caffè, così come non sono i venditori ambulanti. Il Marocco non è davvero un “luogo comune”.